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bubba718
 
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La solitudine dei lavoratori Alitalia

La solitudine dei lavoratori Alitalia

13 Settembre 2008, 09:33

Ventimila persone potrebbero trovarsi tra poche ore senza lavoro. Una tragedia di dimensioni enormi, che peserà per lunghi anni sulle spalle del Paese. Poi ci sono il dolore e la sofferenza di persone messe davanti ad un futuro ignoto. Nessuno che tenda una mano.
La lenta agonia dell’Alitalia sta mostrando lo stano volto di questo Paese. Lo Stato, in questi anni, ha certamente speso molto per garantire alla compagnia di sopravvivere. Tuttavia, questi soldi non hanno regalato ai dipendenti villette al mare, suv, motoscafi d’altura. Neanche hanno permesso la sostituzione dei vecchi aerei con nuovi, la modernizzazione del sistema di trasporto aereo in Italia. Hanno in gran parte preso la strada del fiume degli sprechi, divorati da amministratori non sempre capaci di gestire l’azienda.
E’ indubbio che il sottogoverno abbia pascolato tra assunzioni di comodo, logiche clientelari, serbatoi elettorali. Insomma, la malattia di Alitalia è vecchia e complessa, permetterà a molti studenti universitari di trovar spunto per le tesi di laurea.
La vita, nel suo andare, guarda al passato, consuma il presente, immagina il futuro. I più fortunati son capaci di imparare dall’esperienza, evitano di giudicare, ma riescono a migliorare comprendendo gli errori.
In questi giorni nelle stanze di palazzo Chigi, nelle segreterie dei partiti, nei ministeri, nelle sedi dei sindacati il via vai di persone occupate in estenuanti quanto improduttive trattative è incessante.
I giornali e la televisione non si risparmiano nel dar conto all’opinione pubblica della cronaca degli incontri, minuto per minuto, quasi stessimo assistendo ad una finale del campionato di calcio.
Nel frattempo ventimila persone, le loro famiglie e gli amici, stanno a guardare, con la scure sul collo del licenziamento. In un Paese dove non si trova lavoro in dieci minuti, selezionando tra le inserzioni di un giornale. Qui siamo in un posto nel quale il ‘precariato’ è diventata la legge ferrea del sistema produttivo.
Sono operai e assistenti di volo, piloti ed autisti, meccanici e segretarie. Ma prima di tutto sono uomini e donne.
Sono esseri umani contro i quali, per inspiegabili motivi, la stampa si è scagliata. Raccontando di privilegi, improduttività, svogliatezza, inefficienza. C’è chi ruba la frase ad un’assistente di volo, ieri Cruciani alla ‘zanzara’ di Radio24, per raccontare al pubblico che l’unica preoccupazione di questi bamboccioni del cielo è poter andare a casa a riposare. Chi si impegna a descrivere minuziosamente il modello di pullmino che porta il personale di volo in aeroporto. Ed è inutile continuare. Inutile dire che la produttività dei lavoratori dell’azienda esiste, a dispetto delle incredibili modalità di gestione applicate dagli amministratori mandati dal governo. Sostenere che gli stipendi sono per una grandissima parte dei dipendenti del tutto allineati al resto del Paese potrebbe essere considerata un’eresia. Scoprire che il ‘passaggio’ in aeroporto gli assistenti di volo se lo pagano è un esempio di giornalismo investigativo degno dell’inchesta sul Watergate dell’irragiungibile, in Italia, Washington Post.
Ed ecco allora lo strano volto del Paese. A giorni si rischia di vedere questi ventimila lavoratori per la strada. Comunque cinquemila, settemila, ottomila di loro (i numeri sono incerti) è certamente segnato, destinato alla ‘mobilità’. In parole semplici: sarà licenziato.
Lontano a Torino, nelle catene di montaggio della Fiat, i lavoratori metalmeccanci, nonostante tutto ancora l’anima di quello che un tempo si chiamava ‘movimento operaio’, non hanno speso una parola di solidarietà per questi compagni lavoratori sull’orlo del baratro. Nessun altro comparto industriale, per quanto si sappia, muove un dito per i ‘fratelli lavoratori’ a rischio.
Dalle sedi dei partiti della sinistra qualcuno ha parlato, qualcun altro ha fatto una visita di prammatica, ma non molto di più.
In questo Paese all’etere sembra che l’opinione pubblica, i partiti (almeno quelli vicini al mondo del lavoro), le associazioni, i ‘riformisti’ e i ‘riformatori’, non sentano la drammaticità di un evento nel quale è possibile che un bel paesetto pugliese come Giovinazzo possa essere desertificato. Che vuol dire? Sono ventimila le persone coinvolte in questa tragedia, quanti sono gli abitanti del comune sul mare in provincia di Bari. E non vogliamo ‘contare’ le famiglie.
In caso di fallimento le responsabilità di questo governo sono evidenti. Berlusconi, durante la campagna elettorale gridò la sua ira contro la denazionalizzazione di Alitalia, fece di tutto (in ottima compagnia) per far saltare l’accordo con Air France-Klm e appena eletto si presentò davanti alle telecamere addirittura con uno slogan: “Ama l’Italia chi vola Alitalia”.
Il suo giornale di famiglia, oggi titola:”Più che piloti, kamikaze”. Il quotidiano, poi, in un articolo di Claudio Borghi, aggiunge: “Le lotte sindacali hanno spesso avuto dalla loro il consenso popolare: anche chi non era direttamente coinvolto nella vertenza poteva in qualche modo immedesimarsi con il lavoratore in sciopero, spesso icona dello sfruttamento e della povertà. Nel caso delle proteste e delle intransigenze dei dipendenti di Alitalia invece si respira un atteggiamento opposto: pressoché nessuna voce, anche fra chi di solito è più sensibile alle rivendicazioni del mondo del lavoro, sembra levarsi a sostegno delle numerose sigle sindacali che ieri hanno fatto paurosamente traballare la trattativa per mantenere in volo gli aerei della compagnia di bandiera. Anzi, non è difficile riscontrare fra la gente e nei forum di internet (interessante polso di una parte della società particolarmente informata) un misto di fastidio e di ostilità nei confronti di una categoria ritenuta, a torto o a ragione, scandalosamente privilegiata e immeritevole di qualsiasi corsia preferenziale che ne differenzi le sorti dalle numerose e «normali» altre situazioni di disagio lavorativo”.
Il paradosso è compiuto. I governi che hanno delegato uomini di fiducia per dilapidare un patrimonio in Alitalia, quelli che hanno messo la compagnia in ginocchio, sono spariti. Nessuna denuncia, nessuno che ricordi la nomina di Cimoli o di Bonomi. Nessuno che individui i tanti protagonisti.
L’obiettivo della telecamera ed il microfono dei giornalisti sono per i sindacati, che conducono trattative per garantire stipendi da favola. I lavoratori sono buffoni strapagati. Le difficoltà di adesso non sono nelle proposte dalla Cai, nel tentativo di demolire i contratti nazionali di lavoro, nell’essersi inventati cordate dai contorni poco chiari.
I cittadini italiani non sanno e non capiscono. Telefonano durante le trasmissioni sull’argomento e dicono: “Cosa vogliono questi, che vadano a casa, coi soldi che guadagnano neppure son disposti ad un sacrificio”.
Certo, il minstro Scajola ha ragione quando dice: “Io non voglio parlare della storia di questa vicenda, si andrebbe troppo indietro”.
Forse, per il rispetto che si deve a chi ha lavorato e oggi rischia la disoccupazione sarebbe proprio il caso di osservar bene il passato. Ma non fa comodo.
E sarebbe utile per la democrazia di questo Paese accorgersi che la solitudine dei lavoratori di Alitalia è un dramma, perchè svela quanto sia debole il mondo del lavoro. Il Paese è sommerso dalla demogagia del Palazzo e dell’informazione. La stampa, ormai, in grandissima parte non racconta l’Italia ed è incapace di svolgere quel ruolo di controllo che è nell’etica della professione giornalistica.
La solitudine dei lavoratori di Alitalia è la solitudine di tutti noi.
Roberto Barbera
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