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bongo bongo
 
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sicuri sicuri che servano piloti?

Alitalia deve riassumere i licenziati

Il giudice: non si possono tagliare posti di lavoro per cedere rami d’azienda «Violate le normative europee». In attesa ci sono più di cinquecento ricorsi

Alitalia condannata a riassumere i lavoratori «tagliati» per favorire l’accordo con Etihad. Il 15 gennaio scorso il giudice Giovanni Armone del tribunale di Roma ha dichiarato «la nullità del licenziamento intimato dalla compagnia aerea» a un gruppo di impiegati che si erano opposti al provvedimento. Provvedimento inserito nel piano industriale propedeutico all’accordo che ha portato l’8 agosto 2014 Etihad Airways a rilevare il 49% del capitale Alitalia. Se non fossero stati mandati a casa 2.251 dipendenti, rischiava di saltare il «matrimonio» con la prestigiosa compagnia degli Emirati Arabi e l’arrivo di denaro fresco, 560 milioni di euro in investimenti per il rinnovo della flotta.

Cinquecento sono i ricorsi presentati contro Alitalia dagli ex dipendenti. Ora destinati a seguire la scia del «precedente» creato con la nuova sentenza. Considerato che ben 700 di piloti, hostess e operai classificati come esuberi si sono nel frattempo dimessi in cambio di incentivi oppure sono andati in pensione. Mentre nei dodici mesi trascorsi dal termine dell’applicazione del piano (il 31 dicembre 2014) altri hanno raggiunto l’età per la quiescenza. Senza considerare che 24 piloti, 24 manager e 300 tra impiegati e tecnici sono stati riassunti, attigendo proprio dal bacino dei cassintegrati. Per loro, però, nuovi contratti e azzeramento dei livelli di anzianità. Fuori, quindi, sono rimasti meno di un migliaio di addetti aeroportuali. Chi ha presentato ricorso potrà vedersi invece reintegrato con lo stipendio precedente e le indennità acquisite. «L’ordinanza ha dichiarato illegittimo, non conforme alle direttive europee e ai pronunciamenti della Corte di giustizia l’interpretazione di Alitalia riguardo ai licenziamenti», dichiara Antonio Amoroso, del direttivo Cub Trasporti. «La cessione di ramo d’azienda non giustifica il licenziamento secondo la normativa comunitaria a cui si è richiamato il giudice. E l’Italia non può derogare a tali disposizioni». «Gli esuberi - recita l’ordinanza - sono stati decisi nell’ambito sì di una situazione di grave difficoltà economica di Alitalia Cai. Essi costituivano la premessa e la condizione della cessione aziendale; se non fosse stato licenziato un certo numero di lavoratori, Etihad Airways non avrebbe accettato la partnership, Alitalia Sai non sarebbe stata costituita e la cessione non sarebbe avvenuta».

«Tale nesso funzionale - sottolinea il giudice Armone - determina la nullità del licenziamento. Il licenziamento motivato dalla cessione d’azienda è infatti vietato sia dall’articolo 2.112 del codice civile, sia dall’articolo 4 della direttiva 2001/23/Ce». «La magistratura - scrive Amoroso - non è entrata in merito ai criteri di individuazione del personale da iscrivere tra gli esuberi, alle categorie protette, alle qualifiche professionali. Lo avrebbe potuto fare, ma ha scelto di optare per una sentenza di diritto». Il ricorso, cucito dagli avvocati Giuseppe Marziale e Patrizia Totaro sulla giurisprudenza «europea», è destinato ad avere ripercussioni non soltanto sulla compagnia aerea ma su tutte quelle società che hanno mandato a casa lavoratori cedendo attività. Per Alitalia il licenziamento è invece giustificato perché in quel momento l’azienda si trovava in grave stato di crisi.

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