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Old 12th Oct 2013, 16:27
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DEVILFISH
 
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Comunque, tanto acredine nei confronti di Az, sembra quasi he il 90% dei forumisti abbia conti in sospeso con AZ.
Di seguito un articolo pubblicato dal quotidiano Italia Oggi, che non e' un giornaletto da metropolitana.
Ritengo un punto di vista interessante e contrario a quanto sin qui commentato.


ORSI & TORI
di Paolo Panerai
Chi pensa e scrive che il futuro di Alitalia sia l'integrazione con Air France
non sa o non tiene correttamente conto di alcuni fatti fondamentali. Primo:
nella riunione a Palazzo Chigi, opportunamente convocata dal presidente
Enrico Letta, Air France ha posto le sue condizioni, inaccettabili e quasi
offensive, per un suo maggior impegno in Alitalia: acquisto solo da una
procedura, cioè da un fallimento o da una gestione giudiziaria in continuità;
acquisto a zero lire; ma non è tutto, trasformazione di Fiumicino in un
aeroporto di passaggio concentrando tutti i voli internazionali su Parigi.
Secondo fatto: Air France ha perso negli ultimi esercizi qualcosa come 4
miliardi di euro, ha dovuto cambiare il management e ora ha varato un piano
cosiddetto industriale, cioè riguardante l'attività operativa della compagnia di
bandiera, molto ambizioso e giudicato da tanti irrealistico; quindi Air France
non sta assolutamente meglio di Alitalia, anzi. Unica differenza: è controllata
dallo Stato (con circa il 16%), che la considera l'infrastruttura più importante
del Paese. C'è da domandarsi che fine avrebbe già fatto Alitalia se fosse stata
acquistata nel 2008 da Air France come chiedevano a gran voce molti
economisti con esperienza di governo.
Per fortuna, di fronte a queste condizioni, non solo l'orgoglio italiano ma
anche la razionalità economica che lo ispira hanno spinto il presidente Letta a
non aver paura di chi predica che Alitalia dovrebbe essere svenduta ad Air
France, di chi vorrebbe che il governo restasse immobile di fronte alla
situazione in atto e di chi vorrebbe imporre che neppure un euro di denaro
pubblico entrasse in Alitalia, per di più ironizzando sui cosiddetti capitani
coraggiosi, cioè quei privati (dal presidente Roberto Colaninno all'industriale
dell'acciaio Angelo Massimo Riva, tartassato dalla magistratura, a Enzo Manes
e a molti altri imprenditori di successo nei loro settori) che comunque hanno
messo dentro Alitalia 1,2 miliardi di proprio denaro.
Ad aiutare la ricapitalizzazione da parte dei privati Letta aveva designato
Fintecna, la società dove si sono accumulati i capitali residui della
liquidazione Iri. Fintecna è stata ceduta tempo fa a Cassa Depositi e Prestiti
(Cdp), che il Tesoro controlla all'80% circa. Nonostante ciò sia il capo azienda
Fintecna, Maurizio Prato, che il presidente e l'amministratore delegato di Cdp,
Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini, si sono rifiutati di sottoscrivere
la metà dell'aumento di capitale da 300 milioni di euro, arrivando anche a
prospettare le dimissioni. Rigore gestionale o anche volontà di non dare un
aiuto agli azionisti privati che erano stati raccolti in cordata durante il
governo Berlusconi?
Un atteggiamento difficilmente giustificabile anche perché le due maggiori
banche del Paese, Intesa Sanpaolo e Unicredit, che pure non devono
rispondere a nessun organo dello Stato, hanno garantito nuove linee di
credito per 200 milioni di euro e si sono impegnate a sottoscrivere l'eventuale
inoptato dell'aumento di capitale.
Con saggezza, Letta ha evitato di far scoppiare un caso Cdp e ha individuato
in Poste Italiane, che possiede già una compagnia aerea, il braccio pubblico,
non tanto per salvare Alitalia quanto per avere il tempo di rilanciare quella
che il presidente del Consiglio considera correttamente, come il governo
francese per Air France, la principale infrastruttura del Paese.
La nota che la presidenza del Consiglio ha diramato per confermare
l'intervento di Poste Italiane usa parole chiarissime per spiegare come il
governo e quindi lo Stato non possono, non devono disinteressarsi di Alitalia,
non solo perché garantisce ai cittadini anche rotte fondamentali per la loro
mobilità, ma perché dal rilancio di Alitalia passano molte delle chance
dell'Italia di uscire dalla crisi attraverso il settore fondamentale del turismo.
Basta pensare allo sforzo che la diplomazia italiana fa per concedere visti ai
nuovi viaggiatori del mondo, i cinesi, e come gli stessi per arrivare in Italia
debbono volare su Parigi, Francoforte o Zurigo. Nel 2012 i consolati italiani in
Cina hanno concesso 300 mila visti, il numero maggiore fra tutti gli Stati
europei. Quest'anno potrebbero salire a 400 mila e per il 2015, con l'Expo
universale di Milano, l'obiettivo è un milione di turisti solo dalla Cina.
Si rendono conto i censori dello Stato in Alitalia e sostenitori del regalo ad
Air France che handicap rappresenterebbe per il Paese se per venire in Italia i
turisti di tutto il mondo non potessero più volare direttamente e sempre di
più in Italia?
Questi signori leggono i giornali internazionali e quindi conoscono l'enorme
potenziale che l'Italia ha per ritornare allo sviluppo con il rilancio del
turismo? Hanno letto o sono informati che la classifica più autorevole del
settore, pubblicata dal mensile Condé Nast Traveller di questo mese sanziona
il primato assoluto dell'Italia come Paese-destinazione più desiderato dai
turisti? Hanno letto che o sanno che fra le prime sette città-destinazione più
desiderato tre sono italiane e cioè Roma (al terzo posto), Venezia (al quinto)
e Firenze (al settimo)? E sanno che fra le isole-destinazione la Sicilia è al
quarto posto dopo le isole Baleari, quelle greche e le Maldive? Sanno o
qualcuno gli ha riferito, che nella classifica dei migliori 15 aeroporti del
mondo non ne compare nessuno italiano ma neppure quello di Parigi,
essendo al primo posto Shanghai e al secondo Heathrow Terminal 5 e al terzo
Hong Kong? E infine sanno qual è la classifica delle compagnie aeree più
apprezzate? Per le vacanze corte British Airways al primo posto, al secondo
Lufthansa. Air France è solo quinta; per vacanze lunghe al primo posto c'è
Emirates, al secondo British ma al terzo Etihad, mentre Air France non
compare neppure; e per i viaggi di affari Air France è solo settima.
Se Alitalia deve integrarsi con un'altra compagnia (e deve farlo) ha senso
perseverare su Air France, che non solo ha posto condizioni capestro, ha pure
conti economici peggiori, se si può, della compagnia italiana, è anche agli
ultimi posti in tutti i segmenti delle vacanze e del business?
Quella parola sottolineata da Letta per il futuro (discontinuità) ha un
significato preciso e quindi c'è da sperare che Air France non segua
l'aumento di capitale, così diluendo la sua partecipazione e quindi il suo
ruolo. Il partner ideale c'è già ed è la compagnia dell'Arabia Saudita Etihad,
che macina utili, è in grande sviluppo ed è al terzo posto nella classifica
delle compagnie più gradite per le vacanze lunghe, esattamente quelle su cui
deve puntare l'Italia.
È proprio vero che la demagogia e i suoi slogan (come «Non soldi dello Stato
in Alitalia», che somiglia tanto a «No Tav», anche se da fonti opposte) sono
fra i mali peggiori che affliggono l'Italia. Anche uno studente del primo anno
della Bocconi sa che un Paese evoluto, industrializzato, orientato per di più
al turismo non può fare a meno di una compagnia di riferimento, sia o non
sia partecipata dallo Stato e quindi che chi insiste su Air France evidenzia la
sua confusione mentale e la contraddittorietà del suo slogan, visto che la
compagnia francese è controllata, con il 20% delle azioni, dallo Stato.
La partecipazione dello Stato italiano in Alitalia oltre a essere stata resa
necessaria dall'emergenza venutasi a creare, principalmente a causa della
drammatica crisi economica del Paese che naturalmente ha fatto cadere la
richiesta di voli ma anche per alcuni errori gestionali e nella scelta di alcuni
manager, è indispensabile per far entrare nel capitale una compagnia extra-Ue
come Etihad. Infatti, se il nuovo socio non europeo finisse per essere il socio
di maggioranza, automaticamente per legge decadrebbero tutte le concessioni
di slot che la compagnia ha. Quegli slot, cioè le autorizzazioni a compiere
quelle rotte e ad atterrare e decollare da determinati aeroporti, dovrebbero
essere rimessi in gara, dando spazio alle low cost e ad altre compagnie e
quindi riducendo ulteriormente la potenzialità di Alitalia, che invece deve
incrementare i suoi slot soprattutto a livello internazionale e intercontinentale,
come sottolinea opportunamente il documento che il presidente Letta ha fatto
pubblicare sul sito di Palazzo Chigi.
Ma c'è un'ultima e fondamentale considerazione da fare: come potrebbe fare
l'Italia a uscire dalla crisi senza che prevalga lo spirito di cooperazione e di
consenso almeno su alcuni obiettivi fondamentali come quello dello sviluppo
delle infrastrutture? E appunto l'Alitalia è la principale infrastruttura perché
consente, anche se in maniera insufficiente, agli italiani e agli stranieri di
volare in Italia, dall'Italia e verso l'Italia.
Lo spirito di cooperazione, il senso del sistema Paese non può esistere se
non c'è un polo aggregante, tanto più dopo una crisi così pesante in cui
moltissimi pensano sempre più solo a se stessi e in termini di «Si salvi chi
può», fino a diventare demagogici e anti-italiani. Un compito che
naturalmente spetta in primo luogo al governo. Per fortuna sembra che il
presidente Letta e i suoi ministri, a cominciare, sul tema Alitalia, da quello
dei Trasporti, Maurizio Lupi, abbiano la consapevolezza, la determinazione e il
senso dello Stato, pronti a esporsi in prima persona.
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