cplpilot
8th Aug 2007, 18:21
L'Italia apre i cieli ai piloti oltre 60 anni. Purché stranieri
Tra breve in Italia il servizio di trasporto pubblico aereo potrà essere effettuato anche da piloti oltre i 60 anni di età. Ma la nuova regola varrà solo per gli operatori stranieri e solo per i voli da e per uno scalo fuori dal territorio italiano. I vettori italiani dovranno invece continuare a pensionare i propri piloti a 60 anni.
La nuova situazione - rivelata, con diverse sfumature, dalle associazioni professionali dei piloti dopo una riunione svoltasi il 26 luglio con il direttore generale dell’ENAC - si presta a diverse considerazioni, nessuna delle quali positiva per il trasporto aereo italiano e il sistema-paese in generale.
Il dibattito sull’innalzamento dell’età dei piloti di linea da 60 a 65 anni è impossibile da riassumere in poche righe. A spingerlo sono state considerazioni quali il minor sforzo fisico del pilotaggio moderno, la carenza di piloti (soprattutto comandanti) creata dalla crescita mondiale del trasporto aereo, l’opportunità di allinearsi alla normativa sul lavoro aereo che già accetta gli ultrasessantenni, i progressi medici. Senza dimenticare quella parte di piloti che da tempo protestava contro il pensionamento forzoso.
Non tutti gli interlocutori sono d’accordo - basti pensare a cosa potrebbe accadere abbinando un comandante "over 60" ad un primo ufficiale giovanissimo o formato con l’altra discussa novità della Multi-Crew Pilot Licence, che esclude l’impiego da responsabile di un volo commerciale.
Sta di fatto che, dopo molti anni, lunghi studi ed il sofferto via libera di alcune importanti associazioni internazionali dei piloti, nel 2006 l’ICAO ha dato via libera all’innalzamento. Poiché l’ICAO è a tutti gli effetti il supremo organo internazionale dell’aviazione civile, le sue decisioni vincolano (o autorizzano, a seconda dei punti di vista) i paesi membri, lasciando loro pochi margini di manovra.
Pur potendo applicare limiti più restrittivi ai soggetti dei propri Paesi, le autorità nazionali non possono infatti impedire di operare a quanti dimostrino di rispettare la normativa ICAO. In caso contrario, si potrebbe assistere al moltiplicarsi di regole locali che impedirebbero di fatto alle compagnie aeree di operare tra due paesi diversi. Questo pone delicati problemi quando si voglia costringere un operatore straniero a sottostare ad una normativa nazionale più restrittiva.
Proprio questo è il nocciolo del problema. Nell’attuale quadro regolamentare, ENAC non aveva molta scelta se non applicare la normativa internazionale. Da questo punto di vista, non sembra realistico accusare l’ente di non aver saputo difendere gli interessi nazionali o di aver concesso un vantaggio competitivo alla concorrenza straniera.
Ma le responsabilità di chi sovrintende ad un settore strategico - come appunto il trasporto aereo - non possono limitarsi alla presa d’atto passiva. Di fronte alla nuova norma internazionale, ENAC avrebbe dovuto tempestivamente adeguare quella nazionale. Portando il limite a 65 anni, si sarebbe azzerato il vantaggio delle "new entry" (quasi tutte low cost) che alimentano la propria tumultuosa crescita con i giovani pensionati di altre compagnie. In più, si sarebbe permesso ai piloti italiani che lo desiderassero di continuare a lavorare in Italia, anziché trasferirsi all’estero. E, cosa che non guasta in un momento in cui si viene assunti o stabilizzati più tardi, si sarebbe allungato il periodo contributivo, a tutto vantaggio dell’equilibrio del Fondo Volo. Infine, si sarebbe preclusa agli inevitabili furbi la tentazione di farsi una compagnia non italiana (ma con tutti i privilegi comunitari) che trasformi i buchi della normativa in un indebito vantaggio sulla concorrenza.
Si sarebbe, insomma, evitato il ripetersi di quanto accadde anni fa con la conversione delle licenze italiane in JAR. In quell’occasione, il ritardo italiano impediva ai nostri piloti di lavorare all’estero (rendendoli tra l’altro più esposti a tollerare condizioni di lavoro non ottimali presso certe compagnie nazionali) ma permetteva alle compagnie italiane di affidare i voli italiani a belgi, svizzeri e così via. Impoverendo, tra l’altro, il Fondo Volo e limitando le assunzioni di italiani.
Le normative internazionali non possono comunque essere ignorate. Se non si riescono a portare gli organismi internazionali sulle proprie posizioni, bisogna adeguarsi il più rapidamente possibile per evitare di avere, oltre al danno, la beffa. La difesa corporativa o la politica dello struzzo finiscono solo per danneggiare i propri cittadini. Ryanair, Air France e le altre, intanto, ringraziano.
Tra breve in Italia il servizio di trasporto pubblico aereo potrà essere effettuato anche da piloti oltre i 60 anni di età. Ma la nuova regola varrà solo per gli operatori stranieri e solo per i voli da e per uno scalo fuori dal territorio italiano. I vettori italiani dovranno invece continuare a pensionare i propri piloti a 60 anni.
La nuova situazione - rivelata, con diverse sfumature, dalle associazioni professionali dei piloti dopo una riunione svoltasi il 26 luglio con il direttore generale dell’ENAC - si presta a diverse considerazioni, nessuna delle quali positiva per il trasporto aereo italiano e il sistema-paese in generale.
Il dibattito sull’innalzamento dell’età dei piloti di linea da 60 a 65 anni è impossibile da riassumere in poche righe. A spingerlo sono state considerazioni quali il minor sforzo fisico del pilotaggio moderno, la carenza di piloti (soprattutto comandanti) creata dalla crescita mondiale del trasporto aereo, l’opportunità di allinearsi alla normativa sul lavoro aereo che già accetta gli ultrasessantenni, i progressi medici. Senza dimenticare quella parte di piloti che da tempo protestava contro il pensionamento forzoso.
Non tutti gli interlocutori sono d’accordo - basti pensare a cosa potrebbe accadere abbinando un comandante "over 60" ad un primo ufficiale giovanissimo o formato con l’altra discussa novità della Multi-Crew Pilot Licence, che esclude l’impiego da responsabile di un volo commerciale.
Sta di fatto che, dopo molti anni, lunghi studi ed il sofferto via libera di alcune importanti associazioni internazionali dei piloti, nel 2006 l’ICAO ha dato via libera all’innalzamento. Poiché l’ICAO è a tutti gli effetti il supremo organo internazionale dell’aviazione civile, le sue decisioni vincolano (o autorizzano, a seconda dei punti di vista) i paesi membri, lasciando loro pochi margini di manovra.
Pur potendo applicare limiti più restrittivi ai soggetti dei propri Paesi, le autorità nazionali non possono infatti impedire di operare a quanti dimostrino di rispettare la normativa ICAO. In caso contrario, si potrebbe assistere al moltiplicarsi di regole locali che impedirebbero di fatto alle compagnie aeree di operare tra due paesi diversi. Questo pone delicati problemi quando si voglia costringere un operatore straniero a sottostare ad una normativa nazionale più restrittiva.
Proprio questo è il nocciolo del problema. Nell’attuale quadro regolamentare, ENAC non aveva molta scelta se non applicare la normativa internazionale. Da questo punto di vista, non sembra realistico accusare l’ente di non aver saputo difendere gli interessi nazionali o di aver concesso un vantaggio competitivo alla concorrenza straniera.
Ma le responsabilità di chi sovrintende ad un settore strategico - come appunto il trasporto aereo - non possono limitarsi alla presa d’atto passiva. Di fronte alla nuova norma internazionale, ENAC avrebbe dovuto tempestivamente adeguare quella nazionale. Portando il limite a 65 anni, si sarebbe azzerato il vantaggio delle "new entry" (quasi tutte low cost) che alimentano la propria tumultuosa crescita con i giovani pensionati di altre compagnie. In più, si sarebbe permesso ai piloti italiani che lo desiderassero di continuare a lavorare in Italia, anziché trasferirsi all’estero. E, cosa che non guasta in un momento in cui si viene assunti o stabilizzati più tardi, si sarebbe allungato il periodo contributivo, a tutto vantaggio dell’equilibrio del Fondo Volo. Infine, si sarebbe preclusa agli inevitabili furbi la tentazione di farsi una compagnia non italiana (ma con tutti i privilegi comunitari) che trasformi i buchi della normativa in un indebito vantaggio sulla concorrenza.
Si sarebbe, insomma, evitato il ripetersi di quanto accadde anni fa con la conversione delle licenze italiane in JAR. In quell’occasione, il ritardo italiano impediva ai nostri piloti di lavorare all’estero (rendendoli tra l’altro più esposti a tollerare condizioni di lavoro non ottimali presso certe compagnie nazionali) ma permetteva alle compagnie italiane di affidare i voli italiani a belgi, svizzeri e così via. Impoverendo, tra l’altro, il Fondo Volo e limitando le assunzioni di italiani.
Le normative internazionali non possono comunque essere ignorate. Se non si riescono a portare gli organismi internazionali sulle proprie posizioni, bisogna adeguarsi il più rapidamente possibile per evitare di avere, oltre al danno, la beffa. La difesa corporativa o la politica dello struzzo finiscono solo per danneggiare i propri cittadini. Ryanair, Air France e le altre, intanto, ringraziano.