iceman51
30th Nov 2004, 20:55
Nel supplemento Economia (http://www.corriere.it/edicola/economia.jsp?path=Tutti%20gli%20articoli) di questa settimana del Corriere della Sera vi sono alcuni articoli a carattere aeronautico. Questa volta però fatti con un certo stile e consentono ai meno introdotti alla materia di capire almeno in parte cosa sta succedendo in Italia.
In un articolo sono stato coinvolto - a mia insaputa - anche io, ma non è quello che mi ha colpito di più e che intendo segnalare ai frequentatori di questo forum e di cui oltre riporto il testo. E' quello titolato Curioso il mondo dei cieli e degli aeroporti. All’inizio ... che potete reperire qui (http://www.corriere.it/edicola/economia.jsp?path=TUTTI_GLI_ARTICOLI&doc=TAINO2)
Leggetelo, è interessante. Io in quegli anni vivevo a Londra e fui anche tra i primi pax di Virgin e le cose andarono più o meno proprio così.
E cosa c'entra con l'Italia? Purtroppo, da noi mancano gli "eroi", abbiamo tanti "bulli", gli "sceriffi" sono andati al mare ed i vecchi attori continuano a recitare la stessa sceneggiata da cinquantanni. :{
Ma sono un inguaribile ottimista e spero sia che alcuni attori nazionali, dimenticati gli errori di gioventù ed imparata qualche lingua straniera, potranno avere successo, sia che il nostro mercato si riveli interessante anche ad altri operatori della UE che abbiano voglia di fornire servizi di trasporto aereo nel nostro Paese. E la sedicente compagnia di bandiera? Il Gerovital non serve, occorre ben altro; speriamo che individui un management team adeguato e che riesca a voltare pagina :(
Buona letturaC urioso il mondo dei cieli e degli aeroporti. All’inizio ...
Curioso il mondo dei cieli e degli aeroporti. All’inizio del 2003 - tanto per capire come si gioca in Europa la partita delle aerolinee - Ray Webster, il chief executive della compagnia low-cost britannica easyJet, firmò un contratto per l’acquisto di 107 A319 da Airbus. Impegno non da poco. Ma condizionato - si giura nel settore - al fatto che Air Lib, allora la seconda compagnia francese, stava fallendo e che l’aeroporto di Parigi-Orly avrebbe allocato gli slot, rimasti così liberi, a easy-Jet. In altri termini, un pacchetto concordato - in modo non del tutto fair e non scritto, bisogna dire - con le autorità francesi: compro gli aerei da voi e non dalla Boeing, mi date i diritti di atterraggio e decollo. Fu così che la maggioranza degli slot lasciati inutilizzati dal fallimento di Air Lib andò... ad Air France. Con il risultato che la quota dei diritti di volo controllata dalla compagnia di bandiera francese a Orly passò dal 44 al 53% e che quella del suo competitor più vicino scese dal 30% (Air Lib prima di sparire), al 6% (Iberia). «Abbiamo comprato i vostri dannati aerei, ora dateci qualche posto per farli atterrare», reagì Webster rivolto ai francesi.
Il top manager dell’aerolinea fondata da Stelios Haji-Ioannou avrebbe dovuto sapere come vanno le cose nel campo: anche in Gran Bretagna, il Paese europeo dove oggi il settore è più dinamico e la concorrenza più aperta, la compagnia di bandiera, British Airways (Ba), per decenni ha difeso strenuamente la sua posizione dominante e i suoi legami privilegiati con autorità e governo. Non diversamente da quanto sta facendo Air France a Parigi. Quello britannico, in effetti, è un caso che vale la pena osservare.
Se un giorno volate su un Boeing 747 della Virgin Atlantic di Richard Branson è possibile che vi capiti di salire sullo Spirit of Sir Freddie . Da Freddie Laker, una leggenda dell’imprenditoria britannica al quale Branson ha voluto rendere omaggio. Laker lanciò la propria compagnia, Laker Airways, nel 1966. Fu la prima aerolinea a basso prezzo: i biglietti si compravano il giorno stesso della partenza e i pasti, se si volevano, si pagavano. Nel 1972, Laker chiese l’autorizzazione per operare un servizio tra Londra e New York: dopo cinque anni di opposizione da parte delle compagnie di bandiera europee, Ba in testa, riuscì, nel ’77, a lanciare lo Skytrain atlantico. Ventinove aerolinee - secondo la sua ricostruzione - si coalizzarono contro di lui, tagliarono i prezzi (in modo illegale, stabilì un tribunale più tardi), e riuscirono a farlo fallire nel 1982. Sir Freddie, uno dei golden boys più amati da Margaret Thatcher, fu colui che diede il via a una battaglia che nel Regno Unito da allora non è più cessata, quella tra la compagnia di bandiera e gli outsider. Fulminante e passato alla storia il consiglio che diede a Branson e a Haji-Ioannou su come comportarsi per rispondere ai metodi spietati di concorrenza di Ba: «Querelate i bastardi».
In effetti, le querele diventarono anni dopo il cuore di un’altra battaglia campale, quella tra la compagnia di bandiera e la Virgin Atlantic. Accuse violentissime dalle due parti, spionaggio e tribunali mobilitati. Ancora prima, Sir Michael Bishop aveva dovuto condurre una vera e propria guerra con il governo laburista perché aprisse i cieli della concorrenza alla sua British Midland (oggi Bmi), la compagnia che aveva comprato nel 1978 grazie al prestito di un dentista californiano: solo nel 1982, governo Thatcher, riuscì ad avere l’autorizzazione per competere sulle rotte nazionali e nel 1986 su quelle per l’Europa.
La storia dell’aviazione - dallo Spirit of Saint Louis di Lindbergh allo Spirit of Sir Freddie di Branson al fallimento di Volare - è in fondo un po’ come la conquista del West: tanti bulli che difendono le loro terre, altri che ne vogliono una parte, sceriffi non sempre dal lato della legge. E qualche eroe per le praterie. Oggi che la deregulation è, almeno in teoria, stata introdotta - negli Stati Uniti nel 1978, in Europa nel 1997 - la concorrenza ha preso più seriamente quota e fa volare milioni di persone che non se lo potevano permettere: il «bagno di sangue» di vettori low-cost previsto dal fondatore di Ryanair, Micheal O’Leary, è un passaggio di consolidamento quasi inevitabile (al di là delle singole vicende societarie), anche per la cinquantina di aerolinee del genere che ci sono in Europa: in America, nei primi anni dell’apertura del mercato, su 34 nuove compagnie, 32 fallirono.
Ma il risultato della competizione in corso è che le aerolinee a basso costo hanno trasformato radicalmente il modo di viaggiare e conquistano quote di mercato sempre maggiori. Negli Stati Uniti, queste compagnie hanno incrementato la loro capacità del 44% tra il 2000 e oggi, nonostante l’11 settembre, e hanno in essere ordini per 400 nuovi aerei contro i 150 delle compagnie tradizionali. Anche se con maggiori difficoltà, a causa delle differenze nazionali, una rivoluzione del genere è destinata a succedere anche in Europa. E la Gran Bretagna è nella posizione di guadagnarci più di qualsiasi altro Paese: dopo anni di scontri violenti, i suoi cieli sono i più aperti al modo di volare del futuro. Nei quattro aeroporti attorno a Londra, la compagnia di bandiera copre poco più del 25% della capacità del mercato, le low-cost il 40%. Una situazione che si confronta a Parigi con il 60% di Air France e il 12% dei vettori a basso costo; a Francoforte con il 65% di Lufthansa e il 19% delle low-cost; a Milano e Roma con il 40 e 43% di Alitalia (in perdita di quote di mercato) e il 18 e 20% delle aerolinee a basso costo (prima della crisi di Volare).
Dalla dura e combattuta esperienza britannica, insomma, arrivano un paio di lezioni che forse potrebbero essere lette con vantaggio nel disastrato panorama dei voli in Italia. Non è difendendo le posizioni di privilegio di qualche compagnia aerea che si mantiene in salute il settore. E la concorrenza degli outsider, alla fine, spinge nella direzione giusta.
Danilo Taino
In un articolo sono stato coinvolto - a mia insaputa - anche io, ma non è quello che mi ha colpito di più e che intendo segnalare ai frequentatori di questo forum e di cui oltre riporto il testo. E' quello titolato Curioso il mondo dei cieli e degli aeroporti. All’inizio ... che potete reperire qui (http://www.corriere.it/edicola/economia.jsp?path=TUTTI_GLI_ARTICOLI&doc=TAINO2)
Leggetelo, è interessante. Io in quegli anni vivevo a Londra e fui anche tra i primi pax di Virgin e le cose andarono più o meno proprio così.
E cosa c'entra con l'Italia? Purtroppo, da noi mancano gli "eroi", abbiamo tanti "bulli", gli "sceriffi" sono andati al mare ed i vecchi attori continuano a recitare la stessa sceneggiata da cinquantanni. :{
Ma sono un inguaribile ottimista e spero sia che alcuni attori nazionali, dimenticati gli errori di gioventù ed imparata qualche lingua straniera, potranno avere successo, sia che il nostro mercato si riveli interessante anche ad altri operatori della UE che abbiano voglia di fornire servizi di trasporto aereo nel nostro Paese. E la sedicente compagnia di bandiera? Il Gerovital non serve, occorre ben altro; speriamo che individui un management team adeguato e che riesca a voltare pagina :(
Buona letturaC urioso il mondo dei cieli e degli aeroporti. All’inizio ...
Curioso il mondo dei cieli e degli aeroporti. All’inizio del 2003 - tanto per capire come si gioca in Europa la partita delle aerolinee - Ray Webster, il chief executive della compagnia low-cost britannica easyJet, firmò un contratto per l’acquisto di 107 A319 da Airbus. Impegno non da poco. Ma condizionato - si giura nel settore - al fatto che Air Lib, allora la seconda compagnia francese, stava fallendo e che l’aeroporto di Parigi-Orly avrebbe allocato gli slot, rimasti così liberi, a easy-Jet. In altri termini, un pacchetto concordato - in modo non del tutto fair e non scritto, bisogna dire - con le autorità francesi: compro gli aerei da voi e non dalla Boeing, mi date i diritti di atterraggio e decollo. Fu così che la maggioranza degli slot lasciati inutilizzati dal fallimento di Air Lib andò... ad Air France. Con il risultato che la quota dei diritti di volo controllata dalla compagnia di bandiera francese a Orly passò dal 44 al 53% e che quella del suo competitor più vicino scese dal 30% (Air Lib prima di sparire), al 6% (Iberia). «Abbiamo comprato i vostri dannati aerei, ora dateci qualche posto per farli atterrare», reagì Webster rivolto ai francesi.
Il top manager dell’aerolinea fondata da Stelios Haji-Ioannou avrebbe dovuto sapere come vanno le cose nel campo: anche in Gran Bretagna, il Paese europeo dove oggi il settore è più dinamico e la concorrenza più aperta, la compagnia di bandiera, British Airways (Ba), per decenni ha difeso strenuamente la sua posizione dominante e i suoi legami privilegiati con autorità e governo. Non diversamente da quanto sta facendo Air France a Parigi. Quello britannico, in effetti, è un caso che vale la pena osservare.
Se un giorno volate su un Boeing 747 della Virgin Atlantic di Richard Branson è possibile che vi capiti di salire sullo Spirit of Sir Freddie . Da Freddie Laker, una leggenda dell’imprenditoria britannica al quale Branson ha voluto rendere omaggio. Laker lanciò la propria compagnia, Laker Airways, nel 1966. Fu la prima aerolinea a basso prezzo: i biglietti si compravano il giorno stesso della partenza e i pasti, se si volevano, si pagavano. Nel 1972, Laker chiese l’autorizzazione per operare un servizio tra Londra e New York: dopo cinque anni di opposizione da parte delle compagnie di bandiera europee, Ba in testa, riuscì, nel ’77, a lanciare lo Skytrain atlantico. Ventinove aerolinee - secondo la sua ricostruzione - si coalizzarono contro di lui, tagliarono i prezzi (in modo illegale, stabilì un tribunale più tardi), e riuscirono a farlo fallire nel 1982. Sir Freddie, uno dei golden boys più amati da Margaret Thatcher, fu colui che diede il via a una battaglia che nel Regno Unito da allora non è più cessata, quella tra la compagnia di bandiera e gli outsider. Fulminante e passato alla storia il consiglio che diede a Branson e a Haji-Ioannou su come comportarsi per rispondere ai metodi spietati di concorrenza di Ba: «Querelate i bastardi».
In effetti, le querele diventarono anni dopo il cuore di un’altra battaglia campale, quella tra la compagnia di bandiera e la Virgin Atlantic. Accuse violentissime dalle due parti, spionaggio e tribunali mobilitati. Ancora prima, Sir Michael Bishop aveva dovuto condurre una vera e propria guerra con il governo laburista perché aprisse i cieli della concorrenza alla sua British Midland (oggi Bmi), la compagnia che aveva comprato nel 1978 grazie al prestito di un dentista californiano: solo nel 1982, governo Thatcher, riuscì ad avere l’autorizzazione per competere sulle rotte nazionali e nel 1986 su quelle per l’Europa.
La storia dell’aviazione - dallo Spirit of Saint Louis di Lindbergh allo Spirit of Sir Freddie di Branson al fallimento di Volare - è in fondo un po’ come la conquista del West: tanti bulli che difendono le loro terre, altri che ne vogliono una parte, sceriffi non sempre dal lato della legge. E qualche eroe per le praterie. Oggi che la deregulation è, almeno in teoria, stata introdotta - negli Stati Uniti nel 1978, in Europa nel 1997 - la concorrenza ha preso più seriamente quota e fa volare milioni di persone che non se lo potevano permettere: il «bagno di sangue» di vettori low-cost previsto dal fondatore di Ryanair, Micheal O’Leary, è un passaggio di consolidamento quasi inevitabile (al di là delle singole vicende societarie), anche per la cinquantina di aerolinee del genere che ci sono in Europa: in America, nei primi anni dell’apertura del mercato, su 34 nuove compagnie, 32 fallirono.
Ma il risultato della competizione in corso è che le aerolinee a basso costo hanno trasformato radicalmente il modo di viaggiare e conquistano quote di mercato sempre maggiori. Negli Stati Uniti, queste compagnie hanno incrementato la loro capacità del 44% tra il 2000 e oggi, nonostante l’11 settembre, e hanno in essere ordini per 400 nuovi aerei contro i 150 delle compagnie tradizionali. Anche se con maggiori difficoltà, a causa delle differenze nazionali, una rivoluzione del genere è destinata a succedere anche in Europa. E la Gran Bretagna è nella posizione di guadagnarci più di qualsiasi altro Paese: dopo anni di scontri violenti, i suoi cieli sono i più aperti al modo di volare del futuro. Nei quattro aeroporti attorno a Londra, la compagnia di bandiera copre poco più del 25% della capacità del mercato, le low-cost il 40%. Una situazione che si confronta a Parigi con il 60% di Air France e il 12% dei vettori a basso costo; a Francoforte con il 65% di Lufthansa e il 19% delle low-cost; a Milano e Roma con il 40 e 43% di Alitalia (in perdita di quote di mercato) e il 18 e 20% delle aerolinee a basso costo (prima della crisi di Volare).
Dalla dura e combattuta esperienza britannica, insomma, arrivano un paio di lezioni che forse potrebbero essere lette con vantaggio nel disastrato panorama dei voli in Italia. Non è difendendo le posizioni di privilegio di qualche compagnia aerea che si mantiene in salute il settore. E la concorrenza degli outsider, alla fine, spinge nella direzione giusta.
Danilo Taino